Oramai è noto, la Corte
Costituzionale ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum
abrogativo riguardante il nuovo assetto della geografia giudiziaria.
Durante l’udienza del 15
gennaio, durata poco più di un’ora, le posizioni tra le due parti sono
rimaste inconciliabili. Da un lato i nove Consigli regionali (Puglia,
Calabria, Basilicata, Friuli, Piemonte, Abruzzo, Liguria, Campania e
Marche) che ritenevano necessaria la consultazione popolare per
l’abrogazione della riforma che, entrata in vigore il 13 settembre
scorso, ha portato alla chiusura di circa mille uffici giudiziari;
dall’altro l’Avvocatura dello Stato che, in rappresentanza del governo,
ha sostenuto l’inammissibilità del quesito referendario e il rischio che
con un’abrogazione della riforma si potesse generare un vuoto
normativo.
Per la prima volta nella
storia repubblicana un referendum veniva proposto attraverso
l'iniziativa delle Regioni – l'articolo 75 della Costituzione prevede
infatti che proposte referendarie possono essere avanzate con la
presentazione di 500mila firme raccolte tra i cittadini oppure su
istanza di almeno 5 Consigli regionali – e, purtroppo, questa istanza
mossa da chi la giustizia la vive nel quotidiano e ne conosce i limiti è
rimasta inascoltata.
Potremmo commentare in
molti modi ma, personalmente, preferisco lasciare al lettore l'ultima
parola. Unico impegno che il Comitato tutto e le Regioni si sentono di
rilasciare è che la nostra battaglia non è finita.