Il datore di lavoro può licenziare un
dipendente non solo in caso di difficoltà economiche e in situazioni di
ristrutturazioni aziendali dettate da una congiuntura negativa, ma anche
per "una migliore efficienza gestionale" e per determinare "un
incremento della redditività ". In altre parole: per cercare di aumentare
i profitti.
La Corte di Cassazione, con una sentenza depositata il 7 dicembre scorso
(segnalata dal quotidiano ItaliaOggi), scrive una nuova pagina nel
campo del diritto del lavoro. Destinata a fare giurisprudenza e quindi a
essere presa come riferimento anche dai tribunali di primo e secondo
grado, chiamati a decidere sulle controversie tra imprenditori e
dipendenti.
La Cassazione è intervenuta sul caso di un dipendente messo alla porta
dall'azienda dove lavorava, dopo due sentenze tra di loro in contrasto.
Il giudice di primo grado aveva stabilito che il licenziamento era
legittimo in quanto "effettivamente motivato dall'esigenza tecnica di
rendere più snella la catena di comando e quindi la gestione aziendale".
Giudizio ribaltato in appello , dove il giudice ha ritenuto illegittimo
il provvedimento in quanto non era stato motivato dalla necessitÃ
economica e dalla presenza di eventi sfavorevoli, ma essendo stato
"motivato soltanto dalla riduzione dei costi e quindi dal mero
incremento del profitto".
Appellandosi anche all'articolo 41 della Costituzione che prevede la
libera iniziativa economica dei privati, citando le direttive
comunitarie sul tema, ma anche riferendosi a decisioni del passato, la
Cassazione ha ritenuto che non sia necessario essere in presenza
necessariamente di una crisi aziendale, una calo di fatturato o bilanci
in rosso per procedere a un licenziamento. Il provvedimento può essere
così giustificato anche per migliorare l'efficienza di impresa o per la
soppressione di una posizione o anche per adeguarsi alle nuove
tecnologie. In poche parole, se l'attività dei privata è libera, deve
esserlo anche la possibilità di organizzarla al meglio. Rimane,
ovviamente, potestà del giudice verificare l'effettiva ragione
presentata dall'azienda per giustificare il licenziamento per
riorganizzazione e il nesso di casualità tra i due eventi (così come lo è
in caso di licenziamento per motivi economici).
Il passaggio destinato a fare giurisprudenza - nonché a far discutere - è il seguente: "Ai
fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per
giustificato motivo oggettivo - si legge nel dispositivo - l'andamento
economico negativo dell'azienda non costituisce un presupposto fattuale
che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice
accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all'attivitÃ
produttiva ed all'organizzazione del lavoro, tra le quali non è
possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale
ovvero ad un incremento della redditività dell'impresa, determinino un
effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la
soppressione di una individuata posizione lavorativa; ove però il
licenziamento sia stato motivato richiamando l'esigenza di fare fronte a
situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere
straordinario ed in giudizio si accerti che la ragione indicata non
sussiste, il recesso può risultare ingiustificato per una valutazione in
concreto
Cassazione: licenziamento legittimo se l'azienda vuole aumentare i profitti
tribunale